La rete EducAzioni ha organizzato, il 10 marzo, un incontro per riflettere collettivamente su una scuola capace di costruire comunità fondate sull’ascolto, il dialogo e la responsabilità
La tavola rotonda é stata guidata e coordinata da Franco Lorenzoni, insegnante e scrittore, e introdotta da Gherardo Colombo, già magistrato, giurista, saggista e scrittore, e ha visto come partecipanti e relatori Grazia Dell’Orfanello, Valentino Pusceddu, Emma Alberini, Alessandro Frosini, Elisa Crupi e Giulia Guglielmini.
In veste di coordinatore della tavola rotonda, Lorenzoni é partito dalla considerazione che l’obbedienza non faccia parte delle caratteristiche della democrazia. La sanzione e la coercizione, così tanto evocate oggi, sono in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione che stabilisce pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini. Lorenzoni ha sottolineato come la costruzione di regole condivise in un clima di fiducia sia alla base della relazione educativa. Gherardo Colombo ha iniziato l’intervento con una riflessione sulla funzione sociale dell’educazione. Il già magistrato ha osservato che una società verticale vuole che l’educazione passi attraverso la richiesta di obbedienza e la minaccia di sanzioni verso chi si discosta dalle sue regole. Questo modello autoritario era evidente durante il fascismo, che basava la sua educazione sull’obbedienza senza dover fornire spiegazioni ed esercitando metodi coercitivi contro chi lo metteva in discussione.
Se ne deduce, osserva Colombo, che democrazia e obbedienza non possono convivere. La democrazia ha come presupposto la libertà, l’educazione a scegliere; chi è abituato a obbedire, al contrario, è privato degli strumenti per discernere.
La nostra Costituzione, ha proseguito Colombo, è un modello che rompe la tradizione culturale basata sulla discriminazione e stabilisce il riconoscimento della pari dignità delle persone rovesciando il modo di stare insieme. Dopo gli orrori delle guerre mondiali, della Shoah, dell’esplosione della bomba atomica, i padri costituenti hanno sentito l’urgenza di riconoscere a tutti i cittadini un futuro di uguaglianza e dignità.
Siccome tutte le persone sono degne, come afferma l’art. 3 ne deriva che le particolari condizioni personali non devono essere motivo di discriminazione, inoltre la Repubblica s’impegna a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Sulla base di questi principi, nel mondo della scuola ci si dovrebbe distinguere solo per le funzioni che ciascuno esercita, in quanto gli studenti sono degni quanto gli insegnanti.
Mentre oggi siamo abituati a considerare l’esclusione e l’umiliazione come strumento educativo. Il voto si trasforma da strumento di valutazione in uno strumento di premi e punizioni, funzionale in una società verticale e gerarchica.
È necessario riflettere, conclude Colombo, sull’incoerenza che esiste tra i principi della Costituzione e gli strumenti messi in atto in ambito educativo. Giulia Gugliemini (Fondazione per la scuola) ha posto l’attenzione su due aspetti molto importanti: le competenze socio emotive (competenze trasversali come la relazione con gli altri, la collaborazione, la fiducia, l’empatia) e la giustizia riparativa.
Una recente ricerca condotta su un vasto campione di studenti ha evidenziato come queste competenze siano predittive sugli esiti futuri e che sono insegnabili. Importante quindi immaginare di affiancare alle competenze tradizionali anche competenze trasversali di questo tipo.
Altro elemento importante è la giustizia riparativa, modello che incoraggia il dialogo tra le parti coinvolte per comprendere il danno causato e trovare soluzioni condivise, così da ristabilire relazioni positive.
In questo modello possono essere identificati quattro principi fondamentali:
- centralità della relazione
- coinvolgimento attivo
- responsabilità e riparazione
- coinvolgimento della comunità
Alessandro Frosini (già Dirigente Scuola Secondaria di secondo grado) ha espresso preoccupazione sul senso comune che si sta diffondendo secondo cui la scuola ha perso autorevolezza e si deve ricorrere alla punizione. Secondo Frosini si dovrebbe parlare più correttamente di crisi educativa, perché c’è una situazione oggettiva determinata da molti fattori (pervasività dei social, crisi ambientale ecc.…) che dovrebbe essere affrontata.
La sfida contemporanea è quella di ridare un senso condiviso al lavoro educativo, nella diversità e nella differenza di opinioni. Emma Alberini (studentessa del Liceo scientifico Cavour di Roma) ha posto l’accento su alcuni aspetti strutturali che indeboliscono il sistema scolastico: la mancanza di dialogo da parte delle istituzioni, i tagli all’istruzione, l’accorpamento degli Istituti scolastici, la scarsità di sportelli d’ascolto nelle scuole.
A questi problemi si affiancano aspetti che riguardano il clima sociale generale che condiziona in negativo la vita degli studenti, come le recenti norme del DDL sicurezza, in particolare per quanto riguarda la partecipazione alle manifestazioni.
Nel campo strettamente educativo la studentessa ha rilevato che esistono forti differenze tra i docenti: una parte sa trasmettere passione per la propria materia e cura la relazione con gli allievi mentre altri si preoccupano solo di mantenere la disciplina attraverso la minaccia di punizioni.
Giovani che vivono la precarietà e la minaccia del futuro, che sentono di vivere in un mondo che sentono come repressivo. Tutto ciò pesa e si riversa sul mondo della scuola. Gli atteggiamenti repressivi che hanno docenti e dirigenti, che spesso tendono a chiudere ogni canale di dialogo con la componente studentesca, non sono rari.
La studentessa ha concluso dicendo che i ragazzi hanno ben chiaro qual è la loro idea di scuola e andrebbero ascoltati: un’idea di scuola che rispetti tutti/e allo stesso modo, che dia a tutti/e la stessa opportunità, che abbia come obiettivo principale quello di preparare i/le ragazzi/e alla vita. Le competenze relazionali sono importanti tanto quanto le competenze scolastiche in senso stretto. Ha sottolineato infine come minacce e sanzioni siano controproducenti e inefficaci nel dialogo con ragazzi/e che invece si aprono e mostrano più interesse quando trovano un/una docente che mostra comprensione e cerca il dialogo.
Franco Lorenzoni, riprendendo l’intervento di Emma Alberini, evidenzia come l’insegnamento delle competenze relazionali non vada separato dall’insegnamento delle discipline. Il modo in cui si insegnano le discipline fa la differenza. Inoltre, ha riaffermato l’importanza della questione di servizi come sportelli d’ascolto in cui la scuola deve investire, mentre la sanzione come strumento educativo avvelena la scuola perché non permette di dare il giusto rilievo alla costruzione di una comunità di ricerca capace di valorizzare ciò che alimenta la qualità delle relazioni reciproche.
Valentino Pusceddu (Dirigente Istituto Comprensivo) ha posto l’attenzione sui disturbi d’ansia e di depressione che colpiscono i ragazzi e le ragazze, e ha esortato la scuola e la comunità educante a occuparsi con sollecitudine del benessere degli studenti. Occuparsi dell’educazione emotiva non può essere un pensiero aggiuntivo, ma deve entrare progressivamente nel mondo della scuola.
Pusceddu ha rimarcato la necessità di prendere consapevolezza che la scuola sta attraversando una crisi profonda, e che sia importante partire dal punto di vista degli studenti, che presentano un quadro di sofferenza e malessere profondo e diffuso. Intorno al 50% soffre di condizioni di ansia e di depressione e rispondere con la punizione e l’umiliazione a una crisi così profonda significa porsi al di fuori di una risposta vera a questo problema. Oggi il problema è di dare “futuro”. Allora qual è la risposta a un quadro così delineato? La risposta la si trova nella costruzione di condizioni positive. Non ci può essere una scuola che affronta le problematiche odierne e che crei condizioni di futuro migliore senza creare una dimensione di benessere.
Necessaria una scuola che si concentri sulla relazione attraverso alcuni elementi fondamentali:
- Cambiare il paradigma della valutazione
- Inserimento della valutazione emotiva
- Dare importanza al movimento fisico
Ripensare la scuola partendo dagli ambienti di apprendimento. Costruire processi di benessere più diffusi. Pusceddu conclude l’intervento portando ad esempio la creazione di un’aula chiamata “aula benessere” dove il discorso del benessere e del movimento sono pratiche quotidiane.
Grazia Dell’Orfanello (docente) ha sostenuto che il paradigma motivazionale basato su premi e castighi soprattutto al giorno d’oggi non possa funzionare come metodo educativo.
Ha espresso preoccupazione sul fenomeno della dispersione scolastica che vede l’Italia quintultima in Europa (tasso di dispersione del 9,4 %) e ha invitato a pensare a modelli educativi capaci di contrastare tale fenomeno.
Motivare i/le ragazzi/e attraverso la paura della punizione è inefficace. Non funziona per l’educazione e non funziona per l’apprendimento. Quando i/le ragazzi/e sono soggetti al paradigma “bastone e carota” rendono di meno, lo dicono le ricerche scientifiche, quindi quelle punitive sono forme di insegnamento legate all’ignoranza.
La proposta avanzata da Dell’orfanello di una valutazione “mite”, una valutazione formativa che si fonda sull’alleanza tra studenti, insegnanti e comunità educante tutta.
Importante la corresponsabilità educativa: il clima di collaborazione migliora sia le competenze trasversali sia le competenze classiche.
Elisa Crupi (Direzione Nazionale di Libera) ha posto l’accento sulla necessità di costruire alleanze educative tra terzo settore, studenti, docenti e territorio per costruire percorsi educativi condivisi. La comunità educante deve mettere al centro i ragazzi più che punire e umiliare. È importante la costruzione di spazi di sano conflitto. È all’interno di spazi di conflitto che c’è la crescita del ragazzo e della ragazza. Molto spesso questo tipo di spazio viene messo in discussione. Il tentativo della repressione è sopire il conflitto e semplificare le regole del gioco. È importante invece stare nella complessità delle cose.
Nel lavoro di Libera ha potuto notare che ricevono meno richieste di spazi di autogestione, dato interessante a fronte del clima culturale che si respira. Crupi aggiunge che come comunità educante si ha il dovere di mettere al centro il linguaggio, il significato delle parole.
Dentro l’umiliazione non c’è spazio di crescita, mentre è importante costruire spazi di possibilità.
Franco Lorenzoni, in conclusione, ha posto l’accento sull’intervento di Emma Alberini la quale cita il DDL sicurezza (in particolare riguardo la repressione del dissenso verso chiunque si opponga attraverso pacifiche manifestazioni). Ha citato una affermazione di Primo Levi che non va dimenticata: “Quando si sostiene che un uomo non vale come e non è uguale a un altro uomo, in fondo a quella strada c’è il lager”.
Inoltre sottolinea l’importanza dell’intervento di Gherardo Colombo richiamando il nodo vero: per includere tutti e tutte bisogna creare dei contesti inclusivi e per superare la logica della punizione c’è bisogno di molta creatività. Per gli insegnanti è una grande sfida.
Lorenzoni ha chiuso l’intervento raccontando di un’insegnante che ha portato in classe due piccoli quaderni (uno rosso e uno blu) donandoli a due bambine che litigavano con aggressività. Sui quaderni c’era scritto “riflessioni a caldo” e ha proposto loro di scrivere ogni volta le ragioni del loro litigare invece di rivolgersi alle insegnanti. Dopo aver scritto molte volte, un giorno le due bambine hanno deciso di scambiarsi i loro quaderni per leggere i pensieri dell’altra, sperimentando una forma di immedesimazione. Un piccolo esempio di come costruire democrazia in classe, che richiama l’importanza del disporsi a scrivere un testo collettivo, che è un esercizio impegnativo perché richiede grande ascolto e in certi momenti può essere anche frustrante, ma costituisce un’alternativa radicale alla cultura della sanzione e dell’umiliazione.